Il mio viaggio nel paese dei sorrisi.
Ad un certo punto mi sono trovato a Bangkok a realizzare un progetto di un amico/cliente. Sono partito con le mie matite colorate, le mie forbici, il mio coltello e tanta curiosità. Dovevo realizzare l’allestimento di un ristorante di alto livello di cucina e tradizioni italiane, con lo spirito di un negozio di fiori e oggettistica.
Ho cercato di capire le esigenze del posto e la sua finalità. La location era perfetta: nella traiettoria della grande metropolitana aerea, a ridosso di un importante centro commerciale, vicino a grandi alberghi e importanti negozi. Non un posto enorme dove mi sono imposto di non togliere il carattere locale.
Avevo a disposizione un autista interprete che mi faceva da guida per farmi scoprire il sapore dei mercati e l’abilità degli artigiani, di cui avrei avuto bisogno.
I primi dieci giorni sono stati un’esplosione di sensazioni nello scoprire questa terra, mi sentivo come un bambino in un grande luna park, colpito dalla semplicità della gente, l’umiltà di porsi e di ascoltare. Il cibo consumato nei posti più semplici, il più delle volte ai bordi di strade di grande comunicazione in improbabili baracche improvvisate, lontani dal centro e nelle campagne. Il vivere una realtà di una povertà dignitosa il cui valore è l’accoglienza e il donare. Impossibile da non ricevere e saperla coglierle.
Tante volte la sera, tornato alla base, ripensando alla giornata e fermando sul foglio i miei appunti, ho provato e goduto delle sensazioni del viaggio che diventavano solo mie. Le stesse che provo ancora oggi nel guardare le tante foto che ho scattato, quelle che mi porto dentro, indelebili. Mentre il cuore si riempiva di questo cercavo spunti, oggetti, trovati nei posti più imprevedibili e dove non sarei mai arrivato se Tham, il mio secondo, non avesse capito il senso della mia ricerca: una sintonia data solo dalla sensibilità.
Il lavoro si è rivelato semplice: delle strutture di separazione di tondino di ferro, per dividere i tavoli, alte dal pavimento al soffitto, larghe 15 cm, a ripiani regolari dove collocare oggetti, piante, fiori e verdi recisi a creare paravento, ogni cosa col suo prezzo discreto, pronti per la vendita.
Il banco principale esultava di colore con le grandi campane di vetro che custodivano le torte del giorno: fiori, fiori e fiori, disposti nel modo più semplice e naturale.
ZORSE, questo il nome del locale; un animale simile ad un cavallo ma anche ad una zebra, ibrido ed eclettico come il senso di ciò che trovavi dentro. Il clima mi ha aiutato nell’allestimento verde esterno. Qui ogni pianta collocata riesce a svilupparsi in modo incredibile.
Porto nel cuore i sorrisi di quei mesi, i colori, il mercato dei fiori dove passavo mattine intere a stupirmi.
Un po’ di tristezza quando a malincuore ho deciso di rientrare, nel grande dubbio di cosa fare: restare o tornare. La promessa illusoria di un lavoro a Venezia mi stava allettando allo stesso modo.
Ogni lasciata è persa..
Oggi con un po’ di rimpianto e sorrisi solo da ricordare, purtroppo.
